Carbon Planet, quale piattaforma italiana per lo scambio di crediti di alta qualità, considera il Biochar un importante strumento nella lotta al riscaldamento globale, grazie alla sua capacità di stoccare nel terreno per lungo periodo notevoli quantità di CO2.
Vogliamo approfondire questo argomento con Rita Salimbeni, giornalista specializzata in Diritto, Agricoltura, Ambiente e Territorio, che, insieme al Prof. Mauro Giorcelli del Politecnico di Torino, ha avviato il progetto BiochArt e contribuito ad organizzare la prima mostra collettiva di arte contemporanea “Alchimia del Carbone – Esplorando il Biochar nell’arte”, promossa dall’APS Gart Gardenart e curata da Pavart Gallery, dove gli artisti utilizzano come materiale principale proprio il Biochar.
Ci può raccontare come nasce l’idea di creare una mostra sul Biochar?
La mostra è nata nell’ambito del progetto BiochArt (il nome deriva dall’intuizione di uno degli artisti della mostra, Alessandro Scali) e da un mio incontro con un’artista, Manuela Scannavini, che a sua volta ha coinvolto l’Associazione di Promozione sociale Gart- GardenArt, di cui è consigliera, e la Pavart Gallery di Roma. Abbiamo creato un team, tutto al femminile, aprendo anche a Petra Lanza. Da lei, nasce l’idea di sviluppare una parte della mostra relativa al Giappone, coinvolgendo il maestro Norio Nagayama, per focalizzare l’attenzione sull’antica arte della scrittura orientale Shodō, utilizzando il biochar, il 12 ottobre con gli allievi della scuola Bokushin di Roma. Vittoria Santilli, dottoressa agroforestale e co-founder di BlockCO2, invece, attraverso le filiere, ha fornito il biochar come materiale di base per realizzare le opere della mostra. Gli artisti presenti sono più di 30 e si sono cimentati in diversi settori: pittura, scultura, fotografia, arti performative, etc., mentre ha aderito al progetto espositivo, anche un grande maestro di fama mondiale, Michelangelo Pistoletto, con una realizzazione del suo Terzo Paradiso in biochar, opera di Land Art, collocata nell’area esterna dell’ISA, Istituto Superiore Antincendi, al Gazometro di Roma, che ci ospita per tutto il mese di ottobre, dal 4 al 28, con tutta una serie di eventi.
Il 18 ottobre alle ore 18, ci sarà una tavola rotonda scientifica dal titolo “BiochArt, arte e scienza insieme per spegnere la CO2”, che modererò io con diversi relatori del settore e voci del mondo della ricerca sul biochar, mentre, in contemporanea, lo street artist Marco Tarascio, in arte Moby Dick, realizzerà un’opera live specific sul tema.
Come vede l’interazione tra arte e scienza nella sensibilizzazione del pubblico su tematiche ambientali come quella del biochar?
Assolutamente positiva e necessaria. In un momento storico in cui il cambiamento climatico crea ansia e paura generalizzata, l’idea di unire la bellezza dell’arte, in tante diverse declinazioni, ai progressi che la ricerca e la scienza portano avanti quotidianamente, mi sembrava quasi un’esigenza. Ho voluto immaginare l’arte, da sempre testimone delle grandi rivoluzioni di pensiero, come veicolo di cambiamenti importanti, ma più che altro nel nostro approccio alla questione ambientale. Opere diverse tra loro, ma con una finalità comune, quella di far riflettere, sensibilizzando il grande pubblico al rispetto per tutto ciò che ci circonda. La scienza, dall’altra parte è sinonimo di salvaguardia dell’umanità e della sua evoluzione, quindi direi due mondi apparentemente distanti, ma adesso più vicini che mai.
Come e quando nasce il Biochar?
Il Biochar, meglio noto come carbone vegetale, nasce come ammendante in agricoltura. Una volta incluso nella lista degli ammendanti utilizzabili nel suolo, infatti, ha ottenuto il via libera per l’applicazione anche in agricoltura biologica. In realtà, già anni prima, la riscoperta delle tradizioni contadine e dell’efficacia di utilizzo di cenere e carbone per aumentare la fertilità del terreno ha riportato l’attenzione su questo prodotto, soprattutto dal momento in cui si è capito che non faceva bene solo alla terra, ma che era in grado di catturare il contenuto di carbonio organico, in maniera stabile e duratura nel tempo. Per molti anni, però, la mancanza di una normativa europea specifica sul biochar ha fatto sì che molte nazioni lo abbiamo riconosciuto ognuna secondo la propria legislazione, mancando, in qualche modo, di uniformità.
Può descriverci come viene prodotto e in quali settori viene utilizzato? Quali sono i principali vantaggi del biochar in termini di sequestro del carbonio?
Il biochar si ottiene da biomasse, per esempio avanzi di frutta e verdura o residui di potature, perlopiù certificate, sottoposte a un processo di riscaldamento ad altissima temperatura ma in assenza di ossigeno, detto pirolisi, che permette di evitare l’emissione di CO2. Il surriscaldamento, produce un materiale composto principalmente da carbonio che, avendo evitato la combustione, non ha rilasciato sostanze nocive in atmosfera. E’ il perfetto esempio di come un “rifiuto” possa diventare risorsa. L’albero, ad esempio, che per tutta la vita ha sequestrato anidride carbonica, una volta arrivato a fine vita può essere trasformato in biochar invece che essere bruciato, garantendo così l’effettivo sequestro di CO2. Senza contare il fatto che oggi il biochar viene impiegato in diverse produzioni e tanti sono gli utilizzi che se ne possono fare: dall’automotive (negli pneumatici) all’asfalto, dal cemento ai prodotti tecnologici (cover di smartphone e pc), al toner per stampanti, fino ad arrivare all’impasto nero di pane e pizza.
In che modo l’uso del biochar può contribuire ad una maggiore resilienza nelle filiere agricole ed alla fertilità del suolo?
L’uso del biochar nelle filiere agricole è di fondamentale importanza, sia perché riutilizza gli scarti, favorendo così un efficace sistema di economia circolare, sia perché migliora la qualità dei terreni degradati e sovrasfruttati per il perdurare di coltivazioni monoculturali. Recentemente è stato reso noto che il biochar può essere utilizzato anche negli allevamenti intensivi, aiutando la digestione del bestiame, una volta unito ai mangimi. La sua struttura spugnosa, inoltre, consente di trattenere l’acqua in eccesso nel terreno e la rilascia, insieme alle sostanze nutritive, in maniera molto graduale, dimostrandosi così un buon ostacolo sia alla desertificazione, come conseguenza della siccità, che ai disastri idrogeologici dovuti alle alluvioni. Infine, ma non meno importante, anche le sostanze liquide e gassose prodotte durante il processo di pirolisi, possono essere riutilizzate.
Il Politecnico di Torino ha istituito un primo gruppo di lavoro a livello europeo sul tema del Biochar. Questo prodotto ha delle notevoli caratteristiche sia in ambito agricolo sia come prodotto in grado di assorbire grandi quantità di CO2. Come interpreta il ruolo del Biochar nel prossimo futuro?
Credo sinceramente che il biochar abbia grandi potenzialità: è un prezioso alleato nella cattura e nello stoccaggio della CO2; crea enormi benefici in agricoltura e negli allevamenti; riduce i rifiuti agricoli e tante altre attività che devono ancora essere espresse a pieno. La ricerca scientifica e la cooperazione nello sviluppo di tecnologie e competenze, che proseguono e ne incrementano il suo utilizzo in diversi ambiti, ci fanno ben sperare. Di sicuro, per avere un vero cambiamento, serve un’opinione pubblica attenta e consapevole, nonché delle politiche favorevoli, ormai non più rimandabili.